centocchio comune |
ortica comune |
euforbia minore |
senecione comune |
farinello comune |
veronica officinale |
tarassaco comune |
cicerbita violetta |
romice crespo |
attaccamani |
È chiaro, dunque, che l'identificazione delle specie che crescono spontaneamente sul terreno nudo dà indicazioni sulla salute del suolo e su cosa vi può crescere meglio, oltre a suggerire cosa fare (o non fare) per migliorare la situazione e deliziare il palato! Di conseguenza, lo scopo del diserbo non dovrebbe essere quello di eliminare, bensì di entrare in uno spirito di cooperazione con le piante spontanee. Le radici infatti non hanno la sola funzione di assorbire, ma piuttosto quella di creare un vivace interscambio all'interno del suolo. Anche la biodiversità che sta sopra al terreno dà vita ad una comunità di insetti in cui prede e predatori costituiscono un ecosistema che si autosostiene, che si può osservare e del quale possiamo essere partecipi. Il giardino ha una sua identità e l'idea di diserbare si trasforma nello spirito dell'incontro e nella risposta alla vita di un altro essere. Ogni "erbaccia" trae qualcosa di unico dalla terra e in cambio la arricchisce. Di questo ne sono certa e la considero un'affinità del mondo vegetale con quello umano!
Per concludere, arriviamo in altre zone del terreno, magari più trascurate - nel senso che stanno ridiventando bosco. Qui possiamo trovare il/la panace (Heracleum sphondylium, utilizzato in omeopatia) dalle profonde radici a fittone che cresce su tappeti di girardina (Aegopodium podagraria, commestibile e officinale). Qua e là la gramigna comune (Elymus repens), la coda cavallina e il convolvolo (Calystegia) fanno da corona ad una moltitudine di altre piante colonizzatrici la cui presenza pare essere sempre poco gradita.
L'amore o l'avversione verso le spontanee, soprattutto per le ultime nominate, è davvero molto soggettivo (e chissà che a qualcuno venga in mente di pubblicare un libro che potrebbe essere intitolato "erbaccia mia dimmi chi sono"). Ad esempio, io e la gramigna conviviamo pacificamente, ovvero io le lascio i suoi spazi giacché la considero un'ottima pacciamante e lei non mi invade l'orto; per diverso tempo, invece, per quanto bellissimi siano i suoi fiori, ero ossessionata dal convolvolo... era ovunque! Lo è ancora, ma il mio rapporto con questa pianta è cambiato, pensa un po', in seguito alla lettura di una fiaba dei Fratelli Grimm:
L'immagine che mi porto e una spiegazione della fiaba puoi trovarla QUI.
Sebbene il racconto sia stato apparentemente coperto dalla patina cristiana, è ancora possibile, e con poca difficoltà, intuire come fosse narrato in principio. Si potrebbe infatti pensare che il viaggio del carrettiere per il sentiero corrisponda al cammino di consapevolezza profonda che si svolge nelle vie interiori, il quale è costellato di ostacoli e prove difficoltose da superare, proprio come lo è un mucchio di fango che blocca il proprio carro e impedisce di proseguire. La Madonna doveva essere originariamente una Fata, simile a quelle che spesso compaiono nelle fiabe per offrire o rifiutare il loro aiuto, ovvero per donare o negare la loro preziosa Fortuna, a seconda del comportamento che rivolgono nei loro confronti coloro che esse decidono di incontrare. E dato che il carrettiere è un uomo d’animo buono e gentile, ed è felice di dare alla Fata ciò che lei chiede, ella gli concede il suo favore e come per magia gli libera la strada. In tal modo l’uomo supera l’ostacolo che lo aveva bloccato e può riprendere il suo viaggio. La fiaba potrebbe inoltre suggerire che alcuni impedimenti che si trovano lungo la via non possono sempre essere affrontati e superati solo con le proprie umane forze, ma talvolta necessitano del magico intervento di un’entità divina – forse richiamata e attirata da modi d’essere armoniosi e gentili – che giunge per indicare la via e per aiutare a percorrerla, o a procedere oltre certi limiti che altrimenti sarebbero invalicabili. Tornando al convolvolo, come ricorda l'antica tradizione fiabesca, il suo fiore è la tazzina delle fate, piccina e delicata, da cui le creature dei boschi e dei prati fioriti bevono acqua sorgiva e dolce rugiada… e forse imitare le fate e provare a bere dal convolvolo una goccina di rugiada donata dal fresco mattino, nella quale si sia specchiato il sole facendola brillare e facendo sembrare il candido calice ripieno di liquida luce, potrebbe avere il senso di bere la luce stessa, dissetandosi, custodendola dentro, e colmandosi del suo tepore luminoso.
NOTA: sp. indica varie specie o nessuna in particolare.
immagini tratte dal libro Che Fiore è Questo? uno dei molteplici testi della mia libreria
per riconoscere le spontanee, eccone altri suggeriti e se ne hai qualcuno da indicare anche tu
lascia un commento a questo articolo. grazie!
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