L’utilizzo casalingo, ed in particolare gastronomico, delle piante spontanee è ancora oggi una pratica normale in molte famiglie: quante volte vi sarà capitato l’onore di chiudere il pasto attingendo al sacro bottiglione del nocino “fatto in casa con le noci raccolte proprio la notte di San Giovanni” (il 24 giugno).
D’altra parte l’uomo, prima di diventare stanziale agricoltore è stato nomade raccoglitore; questi atavici ricordi sembrano riemergere quando andiamo in cerca di asparagi selvatici, di frutti di bosco, di funghi, ecc. Ma la natura è molto più generosa e ci offre una varietà di piante da consumare inimmaginabile: scoprire che quella pianta, che magari teniamo sul davanzale e vediamo tutti i giorni, può essere utilizzata in cucina può rivelarci un nuovo mondo fatto di conoscenze ormai andate quasi in disuso e di sapori perduti da riscoprire.
La pratica della ricerca e dell’utilizzo delle piante spontanee in cucina prende il nome di fitoalimurgia: l’etimologia del termine deriva dal greco phytón (pianta) e dal latino alimenta urgentia (urgenza alimentare), a significare l’utilizzo delle piante raccolte in casi di estrema necessità, quando non vi era null’altro di cui nutrirsi. Chiaramente oggi il cibarsi di quanto ci offre la natura ha perso il significato di “ultima spiaggia” per assumere invece quello di una cucina più attenta ai valori ed ai sapori del territorio e della stagionalità.
Prima di affrontare la ricerca, la raccolta, e soprattutto l'utilizzo delle piante alimurgiche, è bene conoscere alcune regole alle quali attenersi per non incorrere in inconvenienti che potrebbero addirittura essere dannosi per la salute.

Come per i funghi, anche per le piante risulta fondamentale la certezza del riconoscimento della specie: in alcuni casi certe piante (spesso appartenenti alla stessa famiglia) si somigliano fra loro, una è edibile mentre l’altra è addirittura velenosa. Proprio in questo periodo, ad esempio, è facile confondere la velenosa cicuta (Conium maculatum) con altre piante, tra cui la carota selvatica (Daucus carota) e l'angelica (Angelica sylvestris): sono tutte e tre Apiacee (o Ombrellifere) e in questo caso il riconoscimento è facilitato dal fatto che la cicuta, quando viene spezzata, emana un forte odore di urina di gatto. Con l'osservazione e il tempo si imparerà anche il periodo di fioritura, la cicuta, infatti, fiorisce già ad aprile, la carota inizia a giugno e l'angelica a luglio. È quindi indispensabile avere la certezza assoluta di quanto si sta raccogliendo, certamente consultando manuali (al plurale, uno non basta!) e magari affidandosi le prime volte alla consulenza di qualcuno più esperto di noi, ricordando che alcune piante sono commestibili solo in alcune parti, oppure cucinandole in un determinato modo, ecc. Nell’incertezza è sempre meglio soprassedere.

Angelica sylvestris                                                        Conium maculatum
Altrettanto importante risulta il luogo di raccolta: vanno evitate strade trafficate, bordi dei campi coltivati e trattati con antiparassitari o dove sono stati distribuiti reflui zootecnici, zone limitrofe a scarichi industriali o di altre tipologie, ecc. La salubrità e la qualità delle materie prime che ci portiamo in tavola è, intuitivamente, di fondamentale importanza per la nostra salute, e quindi grande attenzione dovremo riporre nella scelta sia del materiale raccolto, evitando quindi anche di raccogliere piante o parti di esse malate o ammuffite, sia del sito di raccolta.

Vi sono infine alcune norme legislative da rispettare, che impongono o il divieto assoluto di raccolta di alcune specie protette o la limitazione, in termini quantitativi, del materiale prelevabile. La normativa nazionale di riferimento è il Regio Decreto 26 maggio 1932, n. 772 “Elenco delle piante dichiarate officinali” che indica per ciascuna specie il quantitativo di droga secca detenibile per uso familiare. Fra le altre vi appaiono:
Bardana
• la bardana (Arctium lappa, radici, 5 Kg), la cui più nota applicazione è quella contro talune affezioni della pelle quali acne e erpes;
• la camomilla comune (Matricaria chamomilla, fiori, Kg 10), i cui fiori vengono utilizzati per facilitare la digestione, per i dolori addominali e mestruali, per l'insonnia e l'eccitazione nervosa, ed anche (uso esterno) per infiammazioni della cute e delle mucose della bocca e della gola;
tarassaco
• il tarassaco (Taraxacum officinalis, radici, Kg 5), conosciuto anche come dente di leone, i cui bellissimi fiori gialli sono una delle gioie che annunciano la primavera, si compone in un'ottima insalata di spontanee e il cui rizoma depura l'organismo, stimola le funzioni del fegato, dei reni e dell'intestino;
timo comune
• il timo volgare (Thymus vulgaris, erba fiorita, Kg 10), il cui diffuso impiego alimentare è dovuto non solo alle caratteristiche aromatiche ma anche a quelle antisettiche che contribuiscono a prolungare la conservazione dei cibi e, nel nostro organismo, sono utili per disinfettare l'albero respiratorio e l'intestino;
• la valeriana (Valeriana officinalis, radici, Kg 2), è una tra le piante salutari più note nella medicina popolare e ufficiale utilizzata per lo più come blando tranquillante naturale per indurre un sonno ristoratore, attenuare nevralgie, emicranie e dolori intestinali di lieve entità.

NOTA: cliccando sulle immagini potrai vederle ingrandite

Sarebbe poi opportuno consultare la normativa locale in materia: diverse Regioni (ma anche Province e Comuni) hanno emanato leggi a tutela della flora spontanea che, come detto, vietano o limitano la raccolta, ed a volte danno precise indicazioni su come effettuare il prelievo in modo da non precludere la successiva ricrescita della pianta asportata.
Infine un appello al buon senso: non raccogliete in maniera indiscriminata e non sradicate le piante per permetterne la ricrescita, prelevate solo lo stretto indispensabile cercando di lasciare qualche esemplare “in situ” al fine di garantirne la riproduzione, evitate di raccogliere le specie protette (se lo sono, un motivo ci sarà). Non siate bramosi: è meglio una foglia in meno oggi ed una pianta in più domani.

“Un contadino mi dice: «Non si può vivere solo a dieta vegetale, poiché essa non fornisce le sostanze per formare le ossa.» E pertanto egli dedica religiosamente parte della sua giornata a fornire il proprio organismo delle materie prime necessarie alla formazione delle ossa; e mentre parla, cammina dietro ai suoi buoi, che, con le ossa fatte di sostanze vegetali, si trascinano appresso a lui e il suo pesante aratro, per quanti ostacoli abbiano davanti.” 
- da Walden, ovvero vita nei boschi di Henry David Thoreau


ecco il poster delle principali piante velenose, cliccaci sopra per ingrandire


immagini tratte dal libro Che Fiore è Questo? uno dei molteplici testi della mia libreria 
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